ROCCA CALASCIO IMPONENTE E FIERA

 

 

In uno scenario completamente assoggettato alla natura e al vento, sorge Rocca Calascio che di calcarea pietra bianca, si fonde nel paesaggio rude e impervio come incastonata gemma abruzzese, solitaria, misteriosa, magica e incantevole.

Svetta sull’altopiano di Navelle e la sottostante valle del Tirini imponente e maestoso nella sua semplicità, ma con i suoi 1460 metri di altitudine è il più alto castello d’Italia e uno dei più alti d’Europa.

È considerata tra le quindici più belle fortezze al mondo da The National Geographic, la prestigiosa rivista inglese della National Geographic Society creata nel 1888, che non ha tutti i torti.

Il suo fascino rapisce e incanta, perché questa millenaria rocca è un romantico sogno medioevale immerso in uno scenario unico al mondo.

Nei secoli punto di osservazione militare privilegiato. Poteva comunicare con altre torri e castelli fino all’Adriatico utilizzando torce di notte e specchi di giorno.

Già in epoca romana il sito ospitava un posto di vedetta sul quale probabilmente è stato eretto in seguito il mastio quadro che si può oggi vedere al centro del castello. La nascita del primo nucleo urbano risale invece alla fine dell’impero romano, quando per sfuggire alle scorrerie dei barbari gli abitanti dell’Appennino centrale si rifugiavano sulle alture e dettero vita ai primi insediamenti del borgo.

La prima citazione scritta dell’esistenza della rocca la troviamo nella Corografia Storica degli Abruzzi dell’Antinori (volume XXXVIII, pag.215 del manoscritto esistente nell’Archivio provinciale dell’Aquila), dove il borgo viene ricordato come una delle cinque terre della Baronia dei Carapelle.

Siamo pertanto attorno al 1140, anno della conquista dell’Abruzzo da parte di Ruggero I d’Altavilla che assegnò Carapelle e altri feudi ad Oderisio di Collepietro-Pagliara.

Sappiamo che la baronia normanna nacque dopo quella data. La prima citazione vera e propria della Torre di Rocca Calascio l’abbiamo però solo nel 1380 e abbiamo la certezza che si tratti solo del torrione quadrato, evoluzione dell’insediamento romano e eretto attorno all’anno mille quando secondo l’Apocalisse di Giovanni il mondo sarebbe dovuto finire.

Le quattro torri laterali con merlatura ghibellina si ritiene siano state aggiunte solo nel 1480 da Antonio Piccolomini, genero e nipote di Pio II, che aveva ottenuto in dono la contea da Fernando II d’Aragona. Dopo il terremoto del 1461 che danneggiò profondamente il castello.

È con la dominazione aragonese che fu istituita la “Regia Dogana della mena delle pecore di Puglia” a Foggia e la pastorizia transumante divenne la principale fonte di reddito del Regno.

I pastori erano tenuti al pagamento di 8 ducati ogni 100 pecore in cambio della assegnazione di un pascolo sufficiente dove rimanevano fino alla tosatura per ritornare nei luoghi di provenienza.

Fu quindi un momento di notevole sviluppo per i paesi della Baronia che nel 1470 possedevano oltre 90.000 pecore e fornivano ingenti quantitativi di pregiata “lana carapellese” a città come L’Aquila e Firenze.

È durante questo periodo che la Rocca acquista importanza sorgendo sul Regio Tratturo che portava a Foggia. Qui avveniva la transumanza e il passaggio del ricchissimo traffico della lana.

I Tratturi sono antiche strade, in realtà ampi sentieri che misuravano 111 metri di larghezza o sessanta passi napoletani utilizzati dai pastori per la transumanza fin da epoche protostoriche.

La rocca diviene una vera e propria capitale dell’industria armentizia e casearia di enorme importanza per la zona. Ancora oggi è possibile ammirare nel panorama dei monti i resti in pietra dei recinti per le pecore e i ricoveri in pietra dei pastori.

Sull’ ampliamento del Piccolomini aleggia la suggestiva ipotesi di due docenti dell’Ateneo aquilano, Fabio Redi e Gianluca Ferrini che ci sia lo “zampino” di Leonardo da Vinci.

Leonardo tra la fine del 1400 e l’inizio del 1500 visitò l’Aquila e Campo Imperatore, quando era alle dipendenze di Cesare Borgia come consigliere militare e forse ricevette l’incarico di progettare i rinforzi di Rocca Calascio.

L’ipotesi nasce da alcuni schizzi e disegni facenti parte de The Royal Collection di proprietà della Regina Elisabetta II e conservati nel castello di Windsor che potrebbero essere stati realizzati nella piana di Campo Imperatore.

Nel primo si può riconoscere il profilo del Monte Prena, e in particolare dell’ampia insellatura del Vado di Ferruccio, oltre al “canyon “dello Scoppaturo”..

Nell’altro schizzo sono riportati i profili di alcune catene montuose, insieme a una nota, riferita ad un lungo ed articolato versante roccioso (quello che va dal Monte Prena al Vado di Corno comprendendo il monte Brancastello), nella quale Leonardo accenna alla foschia azzurrina che avvolge, in alcune ore del giorno, le cime.
«Un altro particolare del foglio», spiega Ferrini, «mostra un aspro rilievo roccioso caratterizzato da guglie addossate l’una all’altra che ricorda il profilo del Corno piccolo. Se questa corrispondenza fosse vera metterebbe in discussione il fatto che la prima scalata sul Corno Grande fosse quella compiuta il 19 agosto 1573 dal bolognese Francesco De Marchi. Leonardo», aggiunge il docente, «potrebbe essersi avvicinato alla cima circa 70 anni prima, del resto lo stesso De Marchi giudicò possibile che qualcuno avesse già raggiunto il Corno Grande».

In un altro schizzo contenuto nel Codice L della biblioteca dell’Istitut de France a Parigi, siglato con la D, secondo il professor Ferrini, neldisegno si riconosce una tozza torre di guardia situata su di una cresta rocciosa che potrebbe rappresentare la Rocca di Calascio come doveva essere prima della ristrutturazione che le ha dato l’assetto attuale, al momento non ancora precisamente datata.

Il professor Redi tra l’altro ritiene che:

“L’impianto quadrilatero con torri cilindriche con alta scarpa troncoconica che caratterizza Rocca Calascio rientra perfettamente nella fenomenologia della modellazione teorico-pratica delle fortificazioni progettate o disegnate negli studi di Leonardo”.

Nel 1579 Costanza Piccolomini d’Aragona e duchessa d’Amalfi, l’ultima erede della famiglia, vendette la Baronia, il Marchesato di Capestrano e le terre di Ofena e Castel del Monte a Francesco Maria Dè Medici, Granduca di Toscana per 106.000 ducati.

Francesco Dè Medici aveva subito percepito il valore di questo territorio di congiunzione tra Regno di Napoli, Stato Pontificio e la Toscana, referente fondamentale per il commercio della lana, dei pellami e dello zafferano. Rocca Calascio rimarrà nelle mani dei Medici fino alla metà del ‘700.

Certo che Rocca Calascio, la famiglia Medici e Leonardo da Vinci sono un trittico meraviglioso se l’ipotesi dei due studiosi abruzzesi fosse vera.

Una ipotesi oltremodo affascinante che rende ancora più appetibile la visita a questo luogo affascinante, reso popolare nel 1985 dal film Ladyhawke.

Un falco, un lupo e la luna complici di un amore che supera ogni sfera del possibile e dell’impossibile fino a compiere il miracolo. L’amore che trionfa contro ogni sortilegio in una delle storie più romantiche di sempre.

Mito, leggenda, storia e finzione scenica che meritano tutte la breve e intensa salita per poterla visitare.

La rocca non ancora restaurata, nel film, è il rifugio dell’eremita Imperius, impersonato da Leo McKern,  appositamente scenografata con l’aggiunta di corone alle torri, tra cui quella da cui precipita Michelle Pfeiffer che si salva trasformandosi in falco.

Per gli amanti delle curiosità il film si chiude con una dedica; “In loving memory of Little Pasta”. Il falco che in realtà era una poiana coda rossa rimase uccisa durante la lavorazione del film e a lei il regista volle dedicare il suo lavoro.

Nei secoli Rocca Calascio è passata di mano in mano crescendo di importanza arrivando nel 1663 a contare 495 abitanti secondo un documento conservato nell’archivio di Napoli.

Il terremoto del 1703 demolisce il castello e il paese di Rocca Calascio, nel 1743 il territorio passa sotto la dominazione Borbonica e si va spopolando fino al 1957 quando arriverà a contare zero abitanti.

Nel 1968, poco prima che la protesta studentesca scuotesse l’Italia, Romano Scavolini gira un documentario “Il silenzio dei sassi” su Rocca Calascio ormai completamente abbandonata.

https://www.youtube.com/watch?v=Bw_-A-j7Bu8

Scavolini, oggi praticamente dimenticato, scaricatore di porto ad Amburgo negli anni cinquanta e regista underground negli anni sessanta, due anni prima di questo documentario realizzò il film più maledetto della storia del cinema italiano ancora oggi ufficialmente vietato. Il negativo messo in una cella al Ministero e rinchiuso per sempre.

https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2000/06/11/scavolini-il-regista-finito-all-ergastolo.html

 

A Rocca Calascio Poste Italiane ha dedicato anche dei francobolli, quello che vedete nell’immagine è una rarità e il suo valore è attorno ai 500 euro.

A questo punto credo che non vi resti che andare a visitare questo luogo, sono certo che non ve ne pentirete.

 

Altri film in cui compare Rocca Calascio e le zone attorno:

Nel 1982 Rocca Calascio è ancora set cinematografico per una divertente scena di “Amici Miei Atto II”.

https://www.youtube.com/watch?v=lkV55eQRuqc

 

Quattro anni dopo nel 1986 è la volta di “In nome della rosa” dove ritroviamo i luoghi della rocca nella scena finale.

Nel 1995 anche alcune scene della Piovra Sette hanno come protagonista Rocca Calascio.

https://www.youtube.com/watch?v=7wIX9bNPC_M

Del 1997 è invece “Il viaggio della Sposa” girato a Campo Imperatore.

La Rocca compare anche nel film “Padre Pio” del 2006 e “The american” con George Clooney (2010).

 

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