SANTA MARIA A CARTIGNANO – Misteri templari a Bussi sul Tirino –

 

Imponenti ruderi appaiono d’un tratto lungo quei Tratturi che conducevano a Foggia, oggi la statale per Capestrano. Sono gli evocativi resti della chiesa di Santa Maria di Cartignano ai piedi del modesto monte Parata che con i suoi 566 metri è quasi poco più di una collina.

Siamo attorno all’anno 1200 e la chiesa è uno splendido esempio di uno stile che si potrebbe denominare come il “romanico abruzzese” derivato dai principi costruttivi stabiliti in Francia dal monaco cistercense Bernardo di Clairvaux nel 1134, principi che possono essere riassunti per grandi linee in rigetto di ogni decorazione dipinta o scolpita, bandito l’uso delle vetrate variopinte perché le abbazie dovevano rispecchiare la severa sobrietà della regola benedettina, sia nella struttura sia nella collocazione che doveva essere in luoghi isolati, l’abside orientata ad est, Versus Solem Orientem. Orientazione questa, comune sia ai pagani che ai cristiani che vedevano in questo un simbolo di salvezza e di rinascita.

In origine si trattava di una modesta “cella di San Benedetto”. In pratica una piccola chiesetta di campagna, sorta lungo i percorsi della transumanza (tratturi), tenuta da un solo monaco benedettino e realizzata grazie alla donazione di alcune proprietà del prete prete Anseramo, figlio di Pietro che per la salvezza della sua anima e quella di tali Maria e Doda, cede alcune sue proprietà all’abbazia di Montecassino.

Era l’epoca del contado valvense al vocabolo di Cartignano, come si legge in documenti del 1020. Un ulteriore documento del 1038, redatto dal monaco Raniero ci fornisce una possibile traccia sul toponimo Cartignagno, “in locus ubi Cartinianu vocatur”, in un luogo dove è Cartignano.

Probabilmente la chiesa sorgeva su un appezzamento di terra che in epoca romana era appartenuto a un certo Cartinius.

Solo nel 1065, con l’acquisto da parte della chiesa Santa Maria a Cartignano di San Gaudenzio e di 100 moggia di terreno diviene monastero ma per assumere le maestose e silenti sembianze che ancora oggi possiamo ammirare dopo l’ultimo restauro del 1968 dove si è deciso di mantenerla a rudere, si dovrà aspettare il 1200.

La muratura di questa chiesa, come quella di San Pietro ad Oratorium è un pregevole esempio di quello che viene definito come “apparecchio aquilano”.

Questo modo di costruire a “conci” di dimensioni ridotte creando una sorta di disegno rimanda al ben più noto opus reticulatorum romano e all’opus vittatum e si deve probabilmente proprio alla cultura benedettina la riproposizione di questo antico modo di costruire.

Non è una chiesa fortunata, nei secoli ha subito diversi crolli e ricostruzioni tanto che sul finire del XVI secolo risulterà completamente abbandonata dai monaci.

Un documento notarile datato 10 ottobre 1770 ci testimonia che la chiesa in quella data era ancora in piedi e “a tre navi, con due altari laterali, con sacrestia, con una porta grande alla parte di settentrione, con un’altra piccola all’oriente e con rendita di duecento ducati”.

Uno dei due altari laterali lo potete ancora vedere, mentre dell’altro non c’è più traccia.

Ma nel 1899 Pietro Piccirilli, studioso e appassionato cultore del patrimonio artistico abruzzese descrive la chiesa come ormai “seppellita dai lavaroni fino al ciglio delle arcate delle navi”. In pratica seppellita quasi completamente dai detriti alluvionali.

Il restauro che oggi ci con sente di godere di questo pregevole esempio della colonizzazione benedettina dell’Abruzzo, si è preso qualche libertà, come nel caso del campanile a vela. Originariamente la sede della campana aveva una colonnetta divisoria e le campane erano due.

La struttura architettonica è molto semplice e incrocia due stili corrispondenti ai due diversi periodi di costruzione. All’esterno viene usato l’arco a sesto acuto, mentre all’interno l’arco a tutto sesto poggiante su pilastri squadrati.

Questo dimostrerebbe che la prima chiesa è di fatto anteriore al 1021, mentre l’ampliamento risale sicuramente al XIII secolo essendo influenzato dal gotico cistercense.

Accanto all’edificio si trovano i resti di quella che potrebbe essere stata la “stanza del romito” citata nel documento del 1770, ovvero l’abitazione dell’eremita. Probabilmente i resti del convento si trovano sotto la collinetta addossata alla chiesa, ma non sono mai stati fatti degli scavi per riportarli alla luce.

Incisi sulla facciata troviamo due simboli gemelli cari ai Cavalieri Templari. Si tratta del Fiore della Vita che tratteremo più in là.

L’apporre Fiori della Vita in prossimità di “entrate” che potevano essere sia portoni che finestre è una pratica molto diffusa e che ritroverete anche in altri manufatti medievali di questo territorio. Una sorta di protezione contro le energie negative.

Una epigrafe, “MENT IT”, la troviamo in alto a sinistra nel portale di ingresso della chiesa. Un’altra, probabilmente funeraria e di epoca romana, è sempre sul lato sinistro della facciata.

Sul lato destra è invece un elemento assai strano per la sua collocazione, una sorta di “oculo” di piccole dimensioni di cui ignoriamo la funzione.

Nell’arco dell’abside troviamo ancora tracce di quelli che probabilmente erano affreschi, dove qualcuno riesce a vedere le sagome evanescenti come fantasmi di due santi.

tracce affreschi

Durante il restauro, gli affreschi che ancora erano in buono stato sono stati staccati e li potete ammirare al Museo Nazionale d’Abruzzo a L’Aquila.

Sono attribuiti a Armanino da Modena, pittore attivo in Abruzzo nella seconda metà del secolo XIII e il cui nome ricorre proprio in questo affreschi; Magister Armaninus de Motina fecit hoc opus, dove Motina viene interpretato come Modena. La datazione è certa in quanto scritta nello stesso affresco 1237.

Si tratta di una Deesis, un particolare tema iconografico che rappresenta una supplica o una intercessione. Vi è raffigurato un Cristo benedicente in trono tra la Madonna e San Giovanni Battista. Ai lati del Cristo che nella mano sinistra regge un libro con la scritta “EGO SUM LUX OMINIA” sono raffigurati il Sole e la Luna.

Lo sfondo è quello di un cielo stellato in un luogo paradisiaco. Altri affreschi rinvenuti durante gli interventi di restauro rappresentano,

San Nicola, San Paolo, Sant’Agata, San Benedetto, Sant’Amico, San Mauro e San Pietro.

Non sono visibili al pubblico perché nei magazzini del museo.

Un bassorilievo del sacrificio di Cristo e una statuetta policroma della Madonna con bambino, sono invece visibili nella chiesa di Santa Rita a Bussi.

L’altare centrale con il piano disassato è decorato da un graffito floreale poco visibile, anche se in realtà potrebbe trattarsi invece dell’altare destro mancante. Il documento del 1700 cita infatti l’esistenza di due soli altari laterali.

In questa chiesa, abbastanza spoglia come voleva la regola benedettina, c’è però un capitello che suscita una certa curiosità. È insolitamente decorato con dei pesci, quattro per l’esattezza. Pesci che somigliano a delle trote e accanto a uno di questi pesci c’è quello che alcuni fantasiosi visitatori hanno pensato fosse un cucchiaio.

Capitello pesci e rotolo
Capitello pesci e rotolo

 

In realtà manca un pezzo che si è rotto e si tratta di un rotolo, probabilmente una pergamena. Vi facciamo vedere il capitello restaurato virtualmente.

Capitello pesci restaurato virtualmente
Capitello pesci restaurato virtualmente

È singolare che sia l’unico capitello decorato della chiesa e nemmeno su tutti e quattro i lati. Quello verso la strada infatti è liscio, mentre quello verso l’abside ha un solo pesce.

Capitello pesci

Gli altri capitelli, non hanno decorazioni e sono tutti uguali. Ci si domanda perché un solo capitello sia decorato con dei pesci somiglianti a trote, ed inoltre perché accanto ci sia un rotolo di pergamena riferentesi presumibilmente sia a un contratto che a un testo sacro con una qualche relazione con i pesci.

Non è l’unica stranezza, su un lato la decorazione seghettata è interrotta senza un apparente motivo stilistico. Il pezzo come si vede nel dettaglio è integro.

Il capitello potrebbe alludere a una sorta di contratto per forniture di trote di cui però l’unico documento che abbiamo sono poche righe nel Chronicon Casauriense (cc, 1111, Buxius) e in relazione a Bussi, non alla chiesa; “ob copiam tuttrarum piscium” e “quia trutta et anas in eo fecundissimo fetu congignunt”.

Il pesce però è anche uno dei simboli cristiani più conosciuti. “Ichthys” o “Ichthus”, è una parola che in greco antico (ἰχθύς) significava “pesce”.

Quando scritte in maiuscolo (ΙΧΘΥΣ) le iniziali sono l’acronimo di Iēsous Christos Theou Yios Sōtēr, ovvero Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore.

Si tratta oltretutto di uno dei più antichi simboli cristiani. Probabilmente veniva usato come simbolo di riconoscimento. Quando un cristiano incontrava uno sconosciuto di cui aveva bisogno di conoscere la lealtà tracciava a terra uno dei due archi che componevano il pesce. Se l’altro completava il disegno i due si riconoscevano come seguaci di Cristo.

Ichthys

Il simbolo era probabilmente in riferimento al brano evangelico in cui Gesù si rivolge a Simone (quello che poi diventerà San Pietro)

dicendogli; “non temere d’ora in poi sarai pescatore di uomini” (luca, 5, 10).

Cosa significano realmente quei pesci e quel rotolo di pergamena o di carta, visto che siamo nel periodo in cui si comincia a introdurla in Italia?

Perché i pesci sono solo quattro, mentre sul capitello c’era spazio per metterne altri? E si tratta solo di pesci, oppure veramente di trote?

Sappiamo che durante il medioevo era stata stabilita una vera e propria gerarchia delle vie fluviali che corrispondeva a quella esistente nella società. I corsi d’acqua maggiori erano destinati al sovrano, i fiumi minori agli aristocratici mentre i torrenti e gli stagni erano destinati al libero approvigionamento. In realtà però avveniva che i sovrani dessero in concessione ai vassalli la facoltà di pescare nei grandi fiumi dietro pagamento di un canone. A loro volta, nobili e monaci sub-concedevano il diritto di pesca ai villaggi locali.

Se oggi il pesce che si consuma maggiormente è quello di mare, non era così durante il medioevo. Tutt’oggi il fiume Tirino che scorre non molto distante dalla chiesa e dal suo monastero è considerato il fiume più pulito d’Europa. A quei tempi lo doveva essere ancora di più e costituiva sicuramente una risorsa.

Si riferiscono a qualche particolare diritto di pesca quelle trote sul capitello? Inoltre, dove vediamo l’abside, dietro c’è una strada sterrata in salita che si ritiene dovesse essere il tracciato di un torrente, oggi sparito, il torrente Parata che forse aveva a che vedere con la chiesa.

Forse quel capitello alludeva proprio a una concessione per la pesca e, probabilmente, proprio alla pesca della trota. La somiglianza con il pesce ritratto è incredibile, poco distante da questa chiesa c’è un allevamento di trote.

forse una trota

Se abbiamo tracce di documenti medievali relativi alla pesca fluviale infatti, purtroppo non ce ne sono per quanto riguarda la chiesa in questione.

Un altro interessante elemento di questa chiesa è il suo rosone, questa tipica finestra rotonda che fa la sua comparsa nelle chiese verso la fine del XI secolo. Lo troveremo sempre posizionato al di sopra del portale maggiore.

Rosone

Non ha solo una funzione decorativa, ma alleggerisce l’opera muraria e dà luce alla navata centrale. Simbolicamente, con i suoi raggi che ricordano una ruota, rappresenta il sole.

Il rosone, nella sua parte centrale, è costituito da un unico blocco con otto colonnette a raggiera decorate da quello che sembrano essere dei motivi floreali.

La sorpresa però, la riservata per la fine, anche perché non citata in altre documentazioni ed è nella parte meno visibile e appariscente di questa chiesa che esercita una sorta di magico magnetismo in chi la visita forse dovuto al fatto che essendo priva di copertura è in diretto collegamento con il cielo, come avrebbero voluto gli anti costruttori. Dobbiamo recarci nella parte meno appariscente della chiesa, retro.

In alto, sui peducci simili a mensole su cui posano gli archetti ciechi che decorano l’esterno dell’abside, sono scolpiti alcuni antichi e arcaici simboli che si mostrano al nostro sguardo carichi di affascinanti e primordiali misteri.

Una cosa e certa, non sono lì per caso e non sono lì come decorazione, ma per un motivo preciso anche se non riusciremo a comprendere e a cogliere la totalità del loro messaggio.

Siamo nel periodo d’oro di questi simboli ancora a cavallo con il paganesimo perché solo qualche secolo dopo, nel ‘400 sia l’Oriente che l’Occidente perderanno questa conoscenza simbolica e l’architettura cesserà di essere orientata. Potremmo perfino fissare una data per questo collasso, facendolo coincidere con la distruzione dell’Ordine dei Templari ad opera di Filippo il Bello e per certi versi, anche di Papa Clemente.

“I templari c’entrano sempre” diceva Umberto Eco nel Pendolo di Focault e molto probabilmente c’entrano anche in questo caso perché vi è uno stretto legame tra la conoscenza simbolica e la sapienza templare.

Il meraviglioso periodo medievale nel quale si inserisce questa chiesa, lungi dall’essere un periodo di decadenza fu al contrario l’ultimo sussulto di un mondo straordinario capace di evocare tutta la ricchezza di una tradizione primordiale oggi completamente scomparsa.

Qui si incontrano civiltà antica, civiltà cristiana e raffigurazioni cosmologiche che ci restituiscono la cifra nascosta di una sorta di religiosità perenne espressa attraverso quegli enigmatici custodi che sono i simboli incisi nella pietra.

In sequenza da sinistra verso destra sono quella che sembra essere una colomba, un fiore della vita nella sua rappresentazione più classica, un albero della vita e due croci, di cui l’ultima molto significativa e rara.

Cominciamo dal quella che sembrerebbe essere una colomba e che qui abbiamo riportato in bianco e nero e contrastato per quanto possibile di modo che sia il più leggibile possibile. Rispetto agli altri quattro simboli sembra però essere fuori contesto.

Gli altri quattro simboli sono tutti scolpiti sulla parte superiore del peduccio sul quale poggiano gli archetti ciechi e inseriti in un particolare cerchio come a tutti, la colomba invece è scolpita sulla parte inferiore.

Anche la realizzazione pare non essere opera della stessa mano che ha realizzato gli altri così come sembra di una qualità decisamente inferiore.

Sul piano prettamente simbolico si tratterebbe di uno dei simboli più chiari e di facile interpretazione dell’iconografia cristiana. Presente a più riprese nella Bibbia, è una colomba quella che annuncia a Noè nella Genesi (8,11) la fine del Diluvio Universale.

Anche la sua mutazione simbolica ci è abbastanza nota. Prima del VI secolo viene identificata con il battesimo per passare poi a rappresentare lo Spirito Santo e nel IX secolo essere associata con ogni ispirazione divina.

Fiore della vita abside

Invece sia il Fiore della Vita che l’Albero della vita sono simboli arcaici che non hanno a che vedere solo con il cristianesimo, ma con quasi tutte le culture del mondo. Simboli che il cristianesimo fa suoi proprio in questo periodo del medioevo.

Questo simbolo in Italia compare per la prima volta nel VII secolo a.C. su un’urna etrusca rinvenuta a Civitella di Paganico e il suo significato simbolico è strettamente connesso con la Resurrezione.

Su quest’abside lo ritroviamo nella sua più classica e inconfondibile rappresentazione, quella dei sei petali dentro un cerchio. La stessa già vista, solo tracciata, sulla facciata.

Perfetta sintesi della geometria sacra, questo simbolo contiene in sé il numero aureo che consente di passare dalla geometria bidimensionale a quella tridimensionale, una delle costanti matematiche più antiche che esistano.

Microcosmo e macrocosmo sono entrambi rappresentati da questo simbolo, attraverso un complesso e perfetto sistema di geometrie, proporzioni e rapporti matematici in grado di spiegare la genesi e l’evoluzione di ogni forma di vita nel cosmo.

Nei manufatti che avevano relazione con i cavalieri templari stava a significare che l’edifico era stato realizzato secondo i dettami divini ed è presente in quasi tutte le chiese e i manufatti che in qualche modo hanno avuto a che vedere con questo ordine monastico presente in tutto l’Abruzzo.

Gli antichi Cavalieri ritenevano che la presenza di un simbolo armonico nelle loro costruzioni favorisse la sintonizzazione con i principi universali che governavano il cosmo e la natura, facilitando il collegamento con l’Alto così da poter mettere in pratica l’antico principio ermetico “Così come in Alto così in Basso”. Principio ripreso dal cristianesimo che lo trasformerà in:

“Come il Cielo così in Terra”.

Il secondo simbolo è un Albero della Vita in stretta connessione con il Fiore della Vita.

Non è un caso che stia accanto al Fiore della Vita. Si tratta di una raffigurazione simbolica che racchiude significati esoterici e religiosi la cui raffigurazione muta a seconda delle civiltà dove è rappresentato.

È proprio il cristianesimo a riportare in vita questo simbolo soprattutto nel Basso Medioevo (1000-1492) in pratica nel periodo di realizzazione di questa chiesa, quando ebbe la sua maggior diffusione.

Biblicamente parlando l’Albero della Vita è presente sia nella Genesi che nell’Apocalisse e quindi all’inizio e alla fine delle storie sacre. Rappresenta il cosmo e unisce la terra e il cielo assicurando la coesione dell’Universo.

“Il signore fece germogliare dal suolo ogni sorta di alberi graditi alla vista, tra cui l’albero della vita in mezzo al giardino e l’albero della conoscenza del bene e del male” (Genesi, 2, 9-10).

“Al vincitore darò da mangiare dell’albero della vita che sta nel Paradiso di Dio” (Apocalisse, 2, 7)

La Bibbia però non ci dà alcuna indicazione sul suo aspetto, motivo per il quale la sua rappresentazione sarà lasciata in gran parte alla fantasia dei maestri che lo hanno riprodotto in varie fogge.

Di solito è rappresentato con lo stesso numero di rami sia a destra che a sinistra come in questo caso.

Croce

Il simbolo subito dopo è di difficile comprensione, ma si tratta sicuramente di una croce, anche se riesce difficile stabilire di quale tipo, ma quello subito dopo siamo abbastanza certi che si tratti di una croce orbicolare inclinata a destra.

Croce orbicolare inclinata a dx

È rarissima, in Abruzzo ce n’è solo un’altra a Luco dei Marsi nella chiesa di Madonna delle Grazie, considerata un tempio templare. In Italia se ne conoscono solo altre tre a Lunigiana in Toscana, ma su antiche case private e impossibili da datare con certezza come in questo caso.

Madonna delle Grazie
Madonna delle Grazie a Luco dei Marsi

Può essere inclinata sia a destra che a sinistra e ha a che vedere con l’inclinazione dell’asse terrestre. È un simbolo chiaramente templare che si relaziona con gli equinozi e i moti di precessione della terra che incidono sia su aspetti astronomici che climatici del pianeta.

Come abbiamo detto non è un simbolo molto comune e presuppone una profonda conoscenza dell’astronomia. Trovarlo su questa chiesa è un fatto veramente eccezionale.

I moti di precessione sono moti millenari perché si rilevano solo nel corso dei millenni per cui l’asse terreste modifica la sua posizione. Una delle conseguenze di questi moti è che nel corso del tempo l’asse terreste non continuerà a puntare verso la Stella Polare.

Quando l’asse avrà percorso all’incirca la metà del suo giro, il suo prolungamento punterà verso la stella Vega, nella costellazione della Lira, cosa che avverrà tra tredici o quattordici mila anni.

La croce patente inclinata ci racconta questo. I simboli racchiudono una idea, un mondo e noi cerchiamo di renderli leggibili con tutti i dubbi del caso, con tutte le incertezze che ci possono essere dopo centinaia di anni d’oblio, di catastrofi naturali

e di incuria umana, rimanendo comunque soggiogati dal loro fascino ancestrale e misterico.

I simboli dell’abside hanno molto probabilmente a che vedere con i Cavalieri Templari, ma non siamo in grado di dire fino a che punto possiamo spingerci.

Per quello che riguarda la presenza templare in Abruzzo la scarsità di documenti non ci consente di ricostruire le fasi del loro insediamento e del loro rapporto con i benedettini.

Possiamo solo dire che sicuramente si stabilirono nei punti strategici della regione, a guardia di valichi, lungo le vie consolari e lungo le antichissime direttrici viarie dei “tratturi” che oltre a consentire la transumanza permettevano il mantenimento dei traffici commerciali tra la parte tirrenica e la parte adriatica dell’Italia centro meridionale.

Questa è l’Italia, un paese colmo di meraviglie.

Fonti:

Bussi_Chiesa_di_Santa_Maria_di_Cartignan (1)

http://www.turismoreligiosoabruzzo.it/ABRUZZOMANIA/2018/08/15/eccellenza-dabruzzo-n-9-bussi-sul-tirino-pe-la-chiesa-di-santa-maria-di-cartignano/

https://www.treccani.it/enciclopedia/abruzzo_%28Enciclopedia-dell%27-Arte-Medievale%29/

Chronicon Casauriense

https://books.google.it/books?id=ehC6DgAAQBAJ&pg=PT29&lpg=PT29&dq=anseramo+sacerdote+cartignano&source=bl&ots=RqoK_A8C2i&sig=ACfU3U0QBP-

iBXSMUmSQIckw3Da6aTYf2A&hl=it&sa=X&ved=2ahUKEwjnyNiyy8XrAhWJ6qQKHVZSA8cQ6AEwAHoECAYQAQ#v=onepage&q=anseramo%20sacerdote%20cartignano&f=false

Il  Fiore della Vita un antico simbolo adottato dai templari di Fabrizio Bartoli Ed Nisroch 2019

https://www.terremarsicane.it/i-templari-in-abruzzo-e-nella-marsica/

il disegno dell’apparecchio aquilano

IL_FIORE_DELLA_VITA_nascita_di_un_simbol

L_albero_della_vita_nell_immaginario_med

 

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