GLI INCREDIBILI MISTERI DELLA CHIESA DI SAN THOMAS BECKET A CARAMANICO

 

L’Abruzzo è terra di riti millenari e antichi misteri. Un immenso patrimonio culturale e artistico ancora tutto da scoprire e ricco di un fascino arcano, occulto a metà strada tra mito leggendario e realtà storica e documentata. La chiesa romanica di San Thomas Becket a Caramaico fa parte della Diocesi di Chieti, luogo che con i suoi innumerevoli misteri vi aprirà le porte di un mondo che probabilmente nemmeno pensavate potesse esistere.


Qui, antichi riti pagani, cristianesimo, cavalieri templari e paradossi temporali si fondono in questo tempio romanico. Inevitabile il fantasticare che ci accompagnerà nel tempo anche quando saremo tornati a casa. Continueremo a porci domande e ne cercheremo le risposte.
La chiesa-monastero sorge nel cuore di quello che oggi è il Parco Nazionale della Majella, lungo la strada che dalla riva del nord del Pescara collegava il ducato longobardo di Spoleto a quello di Benevento passando per Interpromium (un’area che approssimativamente comprende gli attuali comuni di Tocco da Casauria, Castiglione a Casauria, Torre de’ Passeri, Bolognano, Piano d’Orta, San Valentino in Abruzzo Citeriore) e raggiungendo Paternum, dove sorge il tempio a cui si affiancò molto presto un monastero di cui oggi restano solo le rovine. Siamo in piena età sveva, nella contea di Manoppello all’alba del XIII secolo.
Proprio qui, a Paterno (oggi San Tommaso, frazione di Caramanico) l’intraprendenza di un abate, Leonate di Casauria, cercherà di dare uno spessore popolare al culto dell’arcivescovo di Canterbury, San Thomas Becket, assassinato nell’omonima cattedrale nel 1170 e proclamato santo solo tre anni dopo da Papa Alessandro III. L’abate che era stato nominato cardinale diacono proprio dal succitato Papa si renderà interprete del culto dell’arcivescovo inglese.
Le indicazioni ci dicono però che si tratta della chiesa di San Tommaso Apostolo, per inciso quello che non credeva alla resurrezione di Cristo dopo la morte in croce, fino a quando non lo toccò con mano.

Segnaletica sbagliata
L’equivoco nasce probabilmente dal fatto che l’arcivescovo inglese è assai poco conosciuto da queste parti anche oggi tanto che la chiesa veniva spesso indicata come la Chiesa di San Tommaso di Paterno. Già nel XVI secolo veniva chiamata San Tommaso “de monte Caramanici’, ma anche “de monte seu Paterno Caramanici”.

La chiesa fu costruita negli anni successivi all’assassinio dell’arcivescovo inglese. Una iscrizione sul portale della chiesa ricorda il committente, tale padre Berardo nel 1202. La storia però, come potete immaginare è un po’ più complicata.

A finanziare la costruzione, con la donazione del terreno e di altre proprietà che potessero fornire rendite per il sostentamento della chiesa è il feudatario locale e l’atto è di un anno prima, il 1201. Rainaldo Trogisio è l’erede di una stirpe normanno-abruzzese e si muove all’interno di una complessa e delicata prospettiva di qualificazione del “partito” riformista di Papa Alessandro III in area abruzzese con il fine di fortificare una sorta di autonomia locale delle abbazie sorrette dai signori locali, sottraendole in pratica dal controllo dell’autorità vescovile della diocesi di Chieti.
Del resto Papa Alessandro III, qualche anno prima, nel 1178, aveva riunito a Loreto Aprutino alto clero e nobiltà normanna proprio per comunicare la sua intenzione di dedicare chiese al martire inglese proprio in Abruzzo.
Più o meno nello stesso periodo temporale, tra il 1176 e il 1182 l’Abate Leonate di Casauria dedica l’oratorio sovrastante l’abbazia all’arcangelo Gabriele, alla Santa Croce e a “san Tommaso martire” con una sorta di evidente reticenza a nominare l’arcivescovo con il suo nome inglese, dovuto al fatto che nel panorama dei santi regionali non fosse ancora conosciuto se non nell’ambito dell’iniziativa di quella parte colta del clero.
Nel 1257 un documento ribadirà da parte dei discendenti di Rainaldo la rinuncia alla proprietà dei terreni dove era stata eretta la chiesa, chiarendo ulteriormente che si tratta proprio di Thomas Becket e non dell’apostolo Tommaso come indica il segnale turistico.
L’edificio che oggi sembra sorgere in un luogo isolato, quando fu realizzato, era su una importante via di comunicazione per coloro che dalla Tiburtina Valeria si muovevano verso sud passando per il Passo di San Leonardo. Una leggenda vuole che la chiesa di San Tommaso, in origine dedicata a San Romano, fosse stata eretta nel 45 d. C. a seguito dell’apparizione degli Arcangeli Gabriele, Raffaele e Michele ad Antimo di Antiochia, discepolo di San Pietro e da quest’ultimo battezzato.
Questo racconto ha la sua origine per una citazione di Girolamo Nicolino nella sua “Historia della città di Chieti” edito a Napoli nel 1657, riferendo di “una certa memoria scritta in carta pergamena” conservata nel monastero adiacente la chiesa, ma andata perduta.
Anton Ludovico Antinori, arcivescovo e storico, nei suoi Annali del XVIII secolo mette però in dubbio questa storia.
Sicuramente sorge invece su un antico tempio dedicato ad Ercole Curino. Nella prima metà del 900 all’interno della stessa frazione di San Tommaso sono stati rinvenuti i resti di un importante santuario pagano; un pilastro in pietra con base quadrangolare, una testa di Giove in calcare e una quarantina di bronzetti votivi raffiguranti il dio Ercole, datati tra il III e il II secolo a.C. custoditi presso il museo Paolo Barrasso di Caramanico.
Ad avvalorare questa ipotesi anche un fatto estremamente insolito; la cripta sotto l’altare invece di conservare qualche reliquia, cela invece un pozzo d’acqua sorgiva legato agli antichi culti attorno ad Ercole. Da Ercole si credeDa Ercole si credeva derivasse non solo la floridezza degli va derivasse non solo la floridezza degli allevamenti e la fortuna nei commerci, ma anche l’abbondanza di allevamenti e la fortuna nei commerci, ma anche l’abbondanza di acque sorgive, indispensabili sia per gli allevatori che per i acque sorgive, indispensabili sia per gli allevatori che per i contadini e per gli abitanti dei villaggicontadini e per gli abitanti dei villaggi..

Pozzo sacro
Volendo fantasticare, la presenza di un pozzo di acqua sorgiva ci rimanda anche alla tradizione esoterica della fontana della giovinezza presente in molte leggende e in questo senso sarebbe da approfondire il legame tra questa fonte e la rappresentazione alchemica di San Cristoforo, presente all’interno in un affresco databile al XIV secolo, quale simbolo mercuriale dell’eterna giovinezza.

San Cristoforo alchemico
Cristoforo, secondo la cabala fonetica, può anche essere inteso come Crisoforo, portatore d’oro. Si tratta dell’oro nascente, l’oro primigenio eterno e incorruttibile come Dio. San Cristoforo è il santo degli alchimisti e nell’affresco veste i colori grigio e verde, colori che Aristotele attribuiva al mercurio, usato per sciogliere l’oro dalla pietra polverizzata (pratica oggi vietata) una scelta di colori che non può essere casuale. In realtà il sentito culto che questo santo godette in epoca medioevale è pari all’elevato valore simbolico che gli attribuivano gli alchimisti.

In Abruzzo solo in un altro luogo, nell’Oratorio di san Pellegrino a Bominaco, il santo è rappresentato nella stessa veste pittorica che ha a che fare con l’alchimia. Il fatto che l’esecutore o gli esecutori dei due affreschi conoscessero perfettamente la simbologia alchemica è ancora più evidente qui a Caramanico nel particolare della cintura del santo.

Linee incrociate simili a quelle che secondo gli alchimisti si formavano sulla superficie del solvente mercuriale “quando esso sia stato preparato canonicamente”. Siamo nell’ambito dell’iniziazione misterica in cui ci si deve lasciare alle spalle le spoglie dell’ignoranza per aprirsi alla conoscenza rivelata. Il primo testo di alchimia tradotto in latino è del 1144 e nel corso del 1200 non solo le corti si interessarono all’alchimia come risorsa per procurarsi i metalli preziosi, ma anche la curia romana, i Papi e i cardinali non ignorarono questa pratica.

Questo San Cristoforo, rientra quindi appieno in questo solco. Il “pozzo sacro”, prendiamoci questa licenza si lega però benissimo anche al culto popolare di San Thomas Becket che si affermerà in tutta Europa attraverso delle ampolline di stagno che contenevano acqua intrisa del sangue del martire dalle proprietà miracolose. Un tentativo di emulare la più famosa Conchiglia di san Giacomo da Compostela e per parlare più semplicemente, considerato il pellegrinaggio che comunque avveniva a anche Canterbury, sebbene meno famoso di quello spagnolo, qui a Paterno si “inventa” in un certo senso una sorta di “brand” abruzzese. L’operazione non riuscirà perché Becket venne prestissimo dimenticato e recuperato solo in età moderna.

Si tenga presente che Becket aveva una fonte a lui dedicata nella contea inglese di Derbyshire e che proprio come avviene oggi i pellegrinaggi avevano non solo un risvolto culturale e religioso, ma anche economico.

Cripta

Riguardo il pozzo nella cripta, in tempi assai più recenti, si mormora che le signore anziane della piccola frazione di San Tommaso quando accompagnano i nipotini a visitare il misterioso pozzo di acqua sorgiva dicano «Mittc n sold dentr all’acqu ca t port fortun», metti un soldo dentro l’acqua che ti porta fortuna, motivo per il quale sul fondo vedete delle monete. Fatto sta che la cripta è aperta, accessibile senza problemi, non custodisce nessuna reliquia e l’acqua è potabile, tanto che fino agli anni 50 veniva prelevata dalle donne della frazione per berla e cucinare e che in qualche modo il culto, pur trasformandosi, è arrivato fino ai nostri giorni.
La chiesa viene terminata nel 1219, anno in cui il committente, tale padre Berardo ne diviene abate. Il progetto originale, piuttosto ambizioso, ne esce però ridimensionato e apparentemente finito in fretta e furia.
Il portico previsto ad imitazione di quello dell’abbazia di Casauria, non verrà costruito e del progetto originale rimangono le quattro colonne inglobate nella facciata che avrebbero dovuto sostenerlo. Nemmeno l’ambone vide la luce per motivi purtroppo sconosciuti. Di questo, all’interno rimangono i quattro leoni che realizzati in precedenza, sono visibili una volta entrati nella chiesa.

Pilastri che avrebbero dovuto sorreggere il portico
Già solo osservando la facciata si possono notare alcuni particolari che ci fanno presumere criticità durante la costruzione.
Se guardiamo l’architrave del portone centrale decorata con gli apostoli con al centro un Cristo benedicente, è evidente che ci va stretta e che fosse stata realizzata per un portale più grande, ma poi usata lo stesso.

Portale centrale
Possiamo anche notare, sempre nel portale, l’enorme differenza tra questa decorazione non perfettamente proporzionata e le raffinate decorazioni degli stipiti che inducono a pensare che si tratti di maestranze completamente diverse tra loro.

Le sculture sono infatti tozze, goffe e monotone nella loro espressione dei volti, tanto da far pensare ad alcuni studiosi che allo scultore fossero sconosciute le più elementari proporzioni del corpo umano.
I volti dei personaggi, tutti con la bocca vistosamente piegata verso il basso e tutti con la stessa espressione. Non solo sono seri, ci stanno disapprovando ancora prima della nostra entrata in chiesa, come fossero a conoscenza di tutti i nostri peccati.

Architrave con gli apostoli
Altro dettaglio interessante sono le mani degli apostoli intente anche quelle in tutto meno che ad accoglierci con una paterna benevolenza. Mentre quello che forse è San Filippo, ferma addirittura la mano di San Simone.

Dettaglio apostoli
Dettagli che per un attimo ci fanno dimenticare la non perfetta esecuzione dell’opera.
Anche sulla lunetta superiore vediamo accennato un disegno in terra rossa per una pittura mai realizzata. Un altro dettaglio che rende l’idea che si andasse di fretta, che non c’era tempo da perdere, ma che in un modo o nell’altro l’opera dovesse essere portata a termine, come poi è stato.

Lunetta portale centrale
A sinistra dell’architrave, la figura scolpita che vedete accanto a un altro fiore della vita è San Thomas Becket con la mitra cardinalizia, la stola e il pastorale. Una scultura che denota le influenze dello stile di San Clemente a Casauria. Sotto un altro fiore della vita.

San Thomas Becket
E’ probabile, secondo alcuni studiosi di questo edificio sacro, che la chiesa, sia la prosecuzione di un progetto iniziato precedente di Leonate, l’abate benedettino dell’ Abbazia di Casauria e successivamente portato a termine con la donazione dei Trogisio, da padre Berardo come testimonia l’iscrizione sul portale di sinistra:
AN (NO) D (OMINI) MCCII MAGISSTER BERARD (US) (H)OC OP (US) FIEBI FEC (IT)

Iscrizione sbagliata
Il visitatore pignolo e latinista potrà anche notare alcuni errori ortografici nell’iscrizione, l’aggiunta di una “S” a magister e la “B” di fiebi, in luogo di una “R”.

Oggi sarebbe impensabile murare in un edificio una scritta sbagliata, ma dovete pensare che a quel tempo praticamente nessuno sapeva leggere e scrivere, tanto meno lo scalpellino che l’ha realizzata copiando male un modello.
La parte più intrigante della facciata sono però delle formelle disseminate qua e là senza un apparente ordine o senso, ma tracimanti storia arcana, e continui rimandi ai Cavalieri Templari.
Uno scrigno di affascinanti enigmi che lascerà il segno nella vostra immaginazione. Formelle con simboli che spesso sfuggono all’occhio distratto del frettoloso visitatore di passaggio, mentre
invece la quasi totalità delle chiese abruzzesi di questo periodo cela interessanti misteri poco conosciuti sui quali cercheremo di fare luce.
Umberto Eco scriveva: “L’uomo medievale vive effettivamente in un mondo popolato da significati, rimandi, sovrasensi, manifestazioni di Dio nelle cose, in una natura […] in cui il leone non era solo un leone, una noce non era solo una noce, un ippogrifo era reale come un leone, perché come quello era segno, esistenzialmente trascurabile, di una verità superiore”.
Come vedremo, il pensiero medievale era intriso di simbolismo e il pensare era la continua ricerca di significati nascosti. Il simbolismo era universale e aveva un significato non solo per gli eruditi ma anche per il popolo incolto, che non sapeva né leggere né scrivere, un significato che noi oggi cerchiamo di recuperare alla conoscenza, avendo perduto nei secoli la capacità di intenderli.
La prima di queste formelle, la più semplice da individuare è il Fiore della Vita, un antichissimo simbolo considerato sacro praticamente in tutte le culture del mondo. Il modulo base è un fiore a sei petali inserito in un cerchio, a volte in un doppio cerchio.


Nella Chiesa ci sono altri Fiori della Vita oltre a questo. Se osservate attentamente un altro è a lato dell’architrave scolpita con le figure degli apostoli, ma ce ne sono ancora, anche dentro la chiesa.

Fiore della vita
Antichissimo simbolo arcano comune a quasi tutte le antiche civiltà, nella cultura cristiana medievale simboleggia la resurrezione e la perfezione del creato.
In Italia questo simbolo comincia ad apparire attorno al VII secolo a.C. quindi in epoca romana ed etrusca ma è proprio durante il medioevo che trova la sua massima diffusione in edifici di culto.
Nemmeno a farlo apposta questo simbolo è presente in chiese e possedimenti dei Cavalieri Templari.

Da questo simbolo è possibile ricavare il numero aureo da cui dipende la geometria dei solidi platonici. Numero aureo considerato sacro nella dottrina esoterica.
Inoltre la presenza del fiore della vita sta ad indicare che questo luogo è stato costruito secondo i dettami dell’armonia divina.
Attenzione, non si trattava di simboli astratti, ma di qualcosa che connetteva tra loro i vari siti con una simbologia complessa su cui ancora si sta indagando e che intrigò perfino Leonardo da Vinci.

Un’altra formella molto particolare si trova a destra del portone principale, sotto una decorazione floreale. Si tratta chiaramente di un serpente. Ora, lungi dall’essere il serpente tentatore di Adamo ed Eva, qui ha come gli altri simboli una valenza complessa.


Simbolicamente parlando il serpente passa attraverso la parte negativa del mondo e lo rigenera nel massimo grado di positività possibile. Questa rigenerazione ha a che vedere con la regolare muta della pelle che si verifica durante la crescita, in una sorta di continua rinascita.
Bisogna dire, al contrario di quanto si crede, anche nella Bibbia il serpente rappresenta sia il male, come nell’episodio del Paradiso, sia il Salvatore Crocefisso come nell’episodio del serpente di bronzo che Mosè pianta nel deserto, tanto per rimanere in quella ambiguità che caratterizza molti particolari di questa chiesa dall’innegabile fascino misterico.
Il serpente è anche simbolo di prudenza (Matteo, 10, 16) “siate prudenti come i serpenti”, ma la chiesa sorge anche sicuramente su un tempio dedicato ad Ercole, il quale, da neonato, uccise due serpenti con le nude mani e, ancora, il serpente sul versante mitologico è connesso con Minerva dea della sapienza.
Se però rovesciamo la formella è la ingrandiamo, ci rendiamo conto che si tratta di un serpente cornuto e con la traccia di una specie di collare.


Questo ci riporterebbe ai Celti e al Calderone di Gundestrup (I secolo a.C.). Su questo manufatto è rappresentato Kernunnos che in una mano stringe un serpente con le corna di ariete, una immagine nota nell’Europa nord occidentale prima e dopo il periodo romano.

Calderone di Gudestruo
Nell’altra mano invece stringe un particolare collare, il torquis che rappresentava l’alto grado di nobiltà di chi lo indossava. Kernunnos era per i celti il dio della natura che governava su tutti gli animali selvatici.

Torquis
Nella formella, oltre a delle corna il serpente sembrerebbe avere anche un collare, sebbene in quel punto ci sia una frattura. Comprendete che solo su questo particolare si aprirebbe un mondo a se di indagine che qui non possiamo approfondire più di tanto.
Perché c’è questa formella sulla facciata? Questo probabilmente non lo sapremo mai con certezza perché questi simboli che un tempo parlavano come fossero libri aperti a chi era in grado di leggerli hanno perso per noi il loro significato e non possiamo fare altro che fare ipotesi. È però interessante che stia proprio su questa facciata, facciata che però nasconde altre sorprese come la formella con uno strano volto dal ghigno sarcastico appena logorato dal tempo e circondato da fogliame.

Green man
È un Green man, nome convenzionale che viene dato a queste figure collegate alle divinità silvestri pagane, ma largamente riprese dal cristianesimo medievale.
I Green Man hanno a che vedere con il ciclico risveglio della natura e quindi sono simbolo della ciclica rinascita così come il serpente della formella precedente e in definitiva anche il Fiore della Vita.


È tra il VI e XI secolo che viene posto un ponte tra le origini pagane dell’uomo verde e il nuovo contesto dell’arte cristiana, ma è proprio con il primo millennio che comincerà il periodo di massimo splendore di questo tipo di rappresentazione simbolica che qui è solo accennata e che in seguito diventerà parte integrante delle decorazioni sia di chiese che di edifici secolari.
Tenete sempre presente quando visitate chiese di questo periodo che la maggior parte delle immagini che trovate avevano finalità di istruzione, non erano mai messe a caso o al solo scopo decorativo.
Il loro scopo è sempre quello di mantenere il fedele sulla retta via, quella più stretta come ben sapete. L’uomo verde è su questa facciata, collegato agli altri simboli, proprio per questo.
Le rappresentazioni degli “uomini verdi” sono molto di più che decorazioni convenzionali e di solito sono localizzati in luoghi importanti e significativi. Qui li edete anche sui capitelli delle colonne che avrebbero dovuto sostenere il portico.


Per i pagani era il simbolo per eccellenza della rigenerazione vitale del ciclo della natura, fondamentale nelle società contadine e il cristianesimo lo arricchisce con il tema della vita che si rigenera e prosegue dopo la morte nell’aldilà.
Ecco che quello che sembrava messo a casaccio, comincia ad avere un senso, anche se non riusciremo a comprendere appieno il disegno che c’è dietro, ma riusciremo solo ad intuirlo.
Nella famosa cappella di Rosslyn in Scozia ricca di queste simbologie e legata ai Cavalieri del Tempio vi sono più di cento di queste raffigurazioni, ma siamo nel 1446, quando questo rapporto tra paganesimo e cristianesimo si era ormai consolidato.
Non lontano da questa formella c’è un’altra decisamente sconvolgente. Qualcosa che mai ci saremmo aspettati di vedere. Allo stesso tempo però ci incuriosirà, intrigherà e sicuramente non la dimenticheremo tanto facilmente.
Si tratta di una pannocchia e un filare di mais. Ora si dà il caso, che siamo nel 1219 e che la scoperta dell’America deve ancora avvenire, avverrà nel 1492!


I costruttori della chiesa come facevano a conoscere il mais 273 anni prima che Cristoforo Colombo lo portasse dall’America? Perché mai lo hanno voluto inserire nella facciata di questa chiesa insieme agli altri simboli che abbiamo appena visto?
Questo che ha le sembianze di un paradosso temporale, non è l’unico caso in Italia, sebbene questa di Caramanico sia la formella più bella e inequivocabile.

Formella di mais Duomo di San Cristoforo di Braga

Due sono nel duomo di San Cristoforo a Barga in Toscana dove si vede solo la pianta di mais. Duomo che fu costruito e ampliato a più riprese a partire dal IX secolo. Quella che vedete è sul fianco sinistro del Duomo.

Come vedete ritorna San Cristoforo e si tratta di una chiesa dove è accertata la presenza templare.con tutti i loro affascinanti misteri. In questo luogo San Pietro avrebbe celebrato la prima eucarestia italiana, nel 44, ovvero pochissimi anni dopo la morte di Cristo.

 

Sempre sulla facciata il mais lo ritroviamo anche nella Chiesa di San Pietro a Grado in provincia di Pistoia. La chiesa come la vediamo oggi risale all’anno mille ed è stata ampliata nell’XI° e XII° secolo. E’ sopra una decorazione ad intreccio.

Formella di mais chiesa di San Pietro a Grado
Formella di mais chiesa di San Pietro a Grado

Ancora una volta sempre sulla facciata nella chiesa di Santa Maria della Libera nelle vicinanze della città di Aquino. Sulle pubblicazioni del monumento sono indicate come foglie di acanto, ma alcuni ricercatori fanno notare che trattasi ancora una volta di mais. Anche qui siamo intorno all’XI-XII secolo. Come nel caso del serpente abbiamo rigirato l’immagine per farvela vedere meglio.

Chiesa di Santa Maria della Libera ad Aquino, pannocchia di mais.

Sono tutte rappresentazioni del mais prima della scoperta dell’America. Una pergamena custodita nella diocesi di Acri in Palestina, del 1257 narra che il mais era già coltivato.
Come è possibile? Bene, qui rientrano nuovamente in gioco i Cavalieri Templari, perché c’è qualcuno che ritiene avessero scoperto l’America ben prima di Colombo e che vi facessero rotta regolarmente per prelevare enormi quantità di argento che probabilmente erano alla base del loro mitologico tesoro.
È singolare che mentre durante l’Alto Medioevo le monete d’argento fossero rarissime, mentre durante l’epoca successiva erano diventate il mezzo di pagamento più diffuso in Europa, il che dimostrerebbe che veniva estratta una grande quantità di questo metallo.
La flotta templare, contava circa 250 navi ed era alla fonda nel porto di La Rochelle sulla costa atlantica occidentale della Francia, un po’ fuorimano per raggiungere la Terra Santa. Per raggiungere Gerusalemme infatti si doveva passare per lo stretto di Gibilterra per poi entrare nel mediterraneo e percorrere, un lungo tragitto. Una cosa che aveva poco senso per i difensori del Santo Sepolcro.
Alcuni studiosi ritengono che da quel porto salpassero per le Americhe molto prima di Cristoforo Colombo. Da alcuni documenti con donazioni si ritiene infatti che i templari fossero nel porto francese già dal 1130 e che nel 1145 esistesse una casa templare e conosciamo inoltre il nome di un cavaliere templare, tale Foucher. La chiesa che stiamo vedendo, come già detto è del 1219.
Un altro ritrovamento lega Cavalieri Templari e mais. A Volastra c’è il Santuario di Nostra Signora della Salute, già chiesa di San Lorenzo dei Templari, 1240), all’estremità del sagrato c’è un cippo con nella parte alta due cavalieri con la cotta da guerra e le mani giunte in preghiera davanti a una giovane pianta di mais. Sotto vi è rappresentata la bandiera della flotta da guerra templare due tibia incrociate sotto a un teschio. Non ve lo aspettavate vero?

Nostra Signora della Salute a Volastra, cippo templare con mais

E’ la stessa bandiera che poi viene usata dai pirati, ma dopo la chiusura dell’ordine dei templari a cui apparteneva.

È possibile allora che il mais rappresentato sulla facciata di Caramanico fosse una ardita trasposizione del Fiore della Vita o una indicazione relativa ai cavalieri Templari?
Non lo sappiamo, ma sta lì sulla facciata e da prima che Cristoforo Colombo lo riportasse dall’America. Del resto la ricerca sui Cavalieri Templari è molto complessa sia a causa della segretezza da loro stessi adottata intorno le loro attività, sia dovuta al fatto che dopo il loro arresto contemporaneo in quel 13 ottobre del 1307 per ordine di Filippo il Bello di Francia, tutto quello che li riguardava compresi i loro simboli vennero distrutti nel tentativo di cancellarne la memoria.
Dobbiamo dire inoltre che non sussistono elementi storici certi che possono legare Thomas Becket ai Cavalieri Templari e di conseguenza questa chiesa, ma solo indizi.
Sappiamo per esempio che i Cavalieri Templari ricevettero da Enrico II una sovvenzione per una crociata in Terra Santa, come indennizzo per la morte dell’arcivescovo, il che ci fa supporre che ci fosse uno stretto legame, sebbene non sia documentato in alcun altro modo.
Un altro indizio di questi collegamenti risiede nel fatto storicamente accertato che durante l’esilio francese dell’arcivescovo, furono i frati benedettini ad ospitarlo, quei frati che ospitarono anche Papa Alessandro II. E’ noto anche il legame a doppio filo tra i frati benedettini e l’ordine templare.
Altre formelle meno inquietanti recano motivi floreali e motivi floreali adornano gli stipiti del portale centrale. Ritorniamo allora sui fiori, non sono lì per caso nemmeno loro e nemmeno per caso decorano la stragrande maggioranza delle chiese cristiane.


I fiori rappresentano la vitalità, la fine dell’inverno e, soprattutto, la vittoria della vita sulla morte. Le chiese medievali sono spesso decorate con richiami floreali, rappresentano perché rappresentano il Giardino del Paradiso, l’unico luogo dove la bellezza terrena può essere durevole.
Insomma nemmeno i fiori sono così tanto innocenti, anche loro appartengono a un complicato e non casuale mondo simbolico.
Scopriamo così, quasi per caso, da dove viene l’antica usanza di portare fiori ai morti e che significato ha realmente questo costume. Essi rappresentano la continuazione della vita dopo la morte e, ovviamente, la resurrezione, e ora credo che quando li porterete ai vostri cari che non ci sono più, lo farete con un spirito sicuramente diverso da un gesto abitudinario e privo di significato. Un modo come un altro per scoprire la potenza del simbolo, quando torna di nuovo a parlare, a comunicare, come faceva un tempo con chi si recava in questi luoghi.
A sinistra del portale centrale un’altra formella con una figura maschile che verosimilmente rappresenta padre Berardo il committente agostiniano della chiesa che regge in mano il pastorale. Era una pratica molto comune nelle chiese medievali, una sorta di promemoria visivo per chi veniva in chiesa.

Padre Belardo
Un’altra formella accanto a un capitello con un green man, pare la stilizzazione di un’aquila. Se lo fosse, starebbe a rappresentare nella simbologia cristiana dopo il concilio di Costantino del 314, il trionfo del cristianesimo sul paganesimo. Il simbolo dell’aquila è presente in molte altre chiese abruzzesi di questo periodo. Anche in questo caso ho rigirato la formella che sulla facciata si presenta in orizzontale.

Aquila
Formella con aquila

Un discorso a parte meritano invece i draghi sulla porta di destra dalle cui bocche escono motivi floreali spiraliformi. In primo luogo bisogna dire che in Abruzzo è molto comune l’ornamento decorativo che si sviluppa dalla bocca di un animale. Il drago però rappresenta il paganesimo e qui a sua volta vengono richiamati i draghi presenti negli architravi dell’Abbazia di San Clemente a Casauria.


Adesso entriamo finalmente nella chiesa che presenta la classica struttura a tre navate, divise da colonne diverse sia per forma che per stile. La colonna più singolare è però la seconda colonna a destra protetta da 4 lastre di cristallo che merita un discorso a parte.
È la Colonna Santa. Una leggenda popolare ritiene che sia stata posta dove la vedete per opera degli angeli ed è stata protetta per evitare che i fedeli continuassero a strofinarsi assottigliandola ancora di più.
Nel ‘600 per alleggerire la struttura sopra la colonna è stato realizzato un arco di scarico aperto.

Arco di scarico realizzato nel '600
Il culto di questa colonna santa ha a che vedere con la fertilità. Le donne in età fertile si sfregavano sulla colonna per le sue proprietà taumaturgiche. Si tratta di una colonna monolitica ricavata da un unico pezzo e che probabilmente faceva parte del precedente tempio pagano come il pozzo della cripta.

Zoccolatura colonna santa

Capitello colonna santa

La colonna poggia su una zoccolatura sproporzionata ed è sormontata da un altrettanto sproporzionato capitello decorato da un altro green man dalla cui bocca esce un tralcio di foglie.
Si tratta di un elemento unico nell’arte sacra medievale che nei secoli ha avuto una forte presa sulla fede popolare fino ai giorni nostri.
All’interno sono i quattro leoni stilofori che avrebbero dovuto sostenere le colonne dell’ambone, mai realizzato. Due di questi sorvegliano l’ingresso alla cripta, di cui abbiamo già parlato.


Una piccola parentesi, stiloforo, niente paura,  è solo un termine architettonico derivante dal greco e che significa molto semplicemente “portatore di stilo”, ovvero portatore di colonna.
Si ritiene infatti che questi leoni appartengano alla prima fase del cantiere della chiesa, legato all’abate dell’Abazia di Casauria e poi proseguito frettolosamente da tale padre Berardo nel 1202.

Deposizione del Cristo dalla Croce
La presenza templare in questa chiesa si rivela anche nell’affresco della deposizione del Cristo con braccia lunghissime che simboleggiano la lunghezza della Sacra Sindone. Si può notare anche il pollice cadente verso il basso.

Dettaglio pollice cadente deposizione del Cristo
Pollici cadenti e lunghezza eccessiva delle braccia sono elementi sempre presenti nelle rappresentazioni religiose templari. Questo affresco e le altre rappresentazioni del Cristo sono stati datati al 1260 e attribuiti allo stesso esecutore degli affreschi di Santa Maria ad criptas di Fossa in provincia dell’Aquila.
Si tratta di uno degli affreschi che rappresentano la Passione di Cristo, messi in sequenza uno dopo l’altro sullo stesso pilastro.

Affreschi passione di Gesù
Gli altri affreschi sono la Sepoltura e l’Anastasis, ovvero la resurrezione di Cristo e la discesa agli inferi, affresco a volte erroneamente indicato come la discesa al limbo.
Nell’era bizantina l’Anastasis viene a sostituire la Resurrezione in questi cicli pittorici e viene stranamente riproposta qui in questa chiesa in una iconografia cara all’Abate Desiderio di Montecassino (XI secolo).
Per essere più chiari il terzo affresco avrebbe dovuto essere la Resurrezione.
L’Anastasis invece si lega ai rotoli di Excultet, canto liturgico che conclude la veglia pasquale eseguito dal diacono che dall’alto dell’ambone srotolava la lunga pergamena e la lasciava andare verso il pavimento. Ambone che però, come già detto non venne mai realizzato. Si tratta inoltre di una tipologia assai rara e diffusa soprattutto in ambito meridionale e in questo caso di influenza casauriense.
Del San Cristoforo “alchemico” datato invece al XIV secolo ne abbiamo già parlato Le acquasantiere sono invece recenti, quella di destra opera di Maurizio Morizio del 1890.
Ora, una ultima chicca in questo fin troppo lungo excursus. Sarà difficile riuscire a vederla, situata all’esterno, a 10 metri di altezza e parzialmente nascosta da una sovrapposizione di materiale cementizio, ma vi è incisa una Triplice Cinta, simbolo associato ai luoghi di appartenenza templare.


L’origine della Triplice Cinta si perde nella notte dei tempi e il suo reale significato rimane un mistero. Il simbolo è presente anche nell’abbazia di San Clemente a Casauria nei pressi del portale di ingresso.

Il simbolo viene documentato da un sito, Montezaga WordPress, io però non sono riuscito a trovarlo, ma mi riprometto di tornare il prima possibile con un drone per verificare.
Il disegno ha anche a che vedere con un antico gioco la Tabula lusoria, ma è improbabile che i giocatori si potessero disporre sulla parete a 10 metri di altezza, dove viene documentato.

Resti del convento

Nei pressi dell’abbazia, perché in realtà di questo si tratta, sono i resti di un borgo e quello che resta del convento detto dei Celestini, in quanto nel 1334 i monaci si sottomisero all’abbazia di Santo Spirito di Morrone dei monaci celestini (quelli del futuro Papa Celestino V, il Papa del gran rifiuto secondo Dante), mantenendo però la regola benedettina. Questo anche se in realtà fu costruito poco dopo l’edificazione della chiesa, quando i monaci seguivano la regola di sant’Agostino.

 

Ruderi convento
Nel 1652 il monastero fu definitivamente abbandonato, mentre la chiesa continuò ad essere officiata dai celestini fino al 1807, quando Napoleone soppresse gli ordini religiosi.
Se state per andare via da questo incredibile e affascinante tempio di un passato remoto e arcano, aspettate ancora un momento. Nel muro che corre lungo la statale sono stati recuperati dei frammenti di decorazioni.

Elementi decorativi e croce patente

Tra questi una bellissima croce patente, forse il più conosciuto simbolo templare, quella croce che ancora si discute fosse o non fosse sulle vele delle caravelle di Cristoforo Colombo.
Non dimenticate che siete in Abruzzo, quello stesso Abruzzo dove Hugues de Payns, o Hugo de Paganis, alias Ugo dè Pagani fondatore dei Cavalieri Templari aveva numerosi feudi tra i quali Moscufo, Spoltore, S. Valentino, Vicoli e Villanova, ottenuti ai tempi della prima crociata e adesso siete liberi di dare sfogo alla vostra fantasia.

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Fonti per la chiesa di San Thomas a Caramanico:

Antonio Alfredo Varrasso “Il santo inglese di Caramanico” su La Domenica d’Abruzzo 26 novembre 2011

Chronicon Casauriense

San Cristoforo e la sua simbologia alchemica

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Triplice Cinta

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