LA TOMBA DEI LEONI RUGGENTI -Lungo i bordi della scomparsa città di Veio-

 

L’appuntamento e di quelli a cui non si poteva mancare con gli Amici del Mav se come me amate quei luoghi “tangenziali” alla Storia, poco frequentati e sconosciuti al grande pubblico. Quei piccoli gioielli che fanno la differenza un po’ come i cammei che i grandi attori fanno nei film per dargli lustro.

Vado solo che la ragazza che di solito “costringo” ad accompagnarmi quando lo ha saputo ha esclamato: “No, un’altra tomba no!” e non ho potuto dargli torto che, ultimamente l’ho portata per cimiteri, storici come le catacombe ma pur sempre cimiteri. L’appuntamento è alla Mola di isola Farnese, una traversa della Cassia sulla destra venendo da Roma quando si arriva alla frazione di La Storta.

Arrivo prima come al solito e mi metto a gironzolare. Approfitto per fare una incursione al vecchio mulino ad acqua. La sua esistenza è documentata già nel XI secolo anche se in seguito nell’ottocento è stato sostituito dall’attuale struttura. L’interno è completamente in rovina ed è stato preda di vandalismo. Una scala ancora integra conduce al piano sottostante, sappiamo che è rimasto in funzione fino agli anni 50.

Fuori le sue gemellari mole di pietra accatastate o rotte e sparse e poi uno di quei rumori che mi sono cari, lo scrosciare d’acque che si gettano e si rincorrono. Rumore forse arcaico, forse amniotico, rimbombante ma per me sempre suggestivo ed evocante come un’antica nenia ammaliante nel suo ritmico ripetersi ipnotico e sognante

Sono lungo i bordi del Fosso Piodo uno dei due torrenti che vanno a formare l’antico  Cremera, affluente minore del Tevere che a sua volta sfocia dove era Fidene ma non quella d’oggi, quella d’un tempo che qui, oggi scorrerà diversamente portandoci all’indietro.  Era Cremera il nome etrusco, antico e dal suono importante, oggi più prosaicamente il  Valchetta che suona, me lo consentirete, come uno sminuente diminutivo, quasi un vezzeggiativo.  

Davanti a me la doppia cascata. La prima semplice nel suo esposto semicerchio, ritmica e costante, la seconda che invece di getto si butta nel vuoto sparendo del selvaggio verde intenso del parco di Veio. Siamo a pochi chilometri da Roma, anzi in realtà siamo ancora nel territorio di Roma, in linea d’aria, il Campidoglio, dista solo una ventina di chilometri e tutt’attorno è il bosco con la sua intrinseca sacralità.

Ma non divaghiamo come troppo spesso mi accade che ormai sono arrivati tutti e ci incamminiamo con le nostre guide. Stiamo per andare a vedere la Tomba dei Leoni Ruggenti, lungo i bordi dell’antica e scomparsa città di Veio, distrutta dai romai e ricostruita da Augusto. Si tratta della più antica tomba dipinta non solo dell’Etruria ma dell’intero bacino mediterraneo occidentale, databile tra il 700 e il 690 aC. in località Grotta Gramiccia e ed è chiusa da una spessa porta di ferro. La aprono solo per noi ed è un evento e un privilegio che non capita tutti igiorni.

Attraversiamo il ponticello sopra la cascata e sulla sinistra troviamo un cunicolo scavato nella roccia che svolta subito a destra, angusto e stretto.  Poco più avanti un altro. E’ l’uscita del primo. Sembra non avere un gran senso, invece è una brìglia idraulica che serviva per smorzare l’energia delle acque in caso di piene.

Sulla destra è l’area archeologica di Portonaccio ma che è chiusa per restauro e quindi non visitabile, saliamo invece a sinistra su quello che era l’altopiano triangolare della città di Veio,  fiera nemica di Roma potente e di sfarzosi fasti nota nel mondo antico. Saliamo tra querce che potrebbero essere centenarie, lecci ed arbusti di corbezzolo.

Immerse nella vegetazione i blocchi della cinta muraria che si estendeva per una decina chilometri. Sappiamo che le mura erano larghe due metri e potevano raggiungere tra i 5 e gli 8 metri. Ora sono disseminate a tratti per tutto l’altopiano, ampio e ondulato di arati campi e bucolici paesaggi che, a sua volta si estendeva per cinque chilometri da nord a sud, alternando ville, case e fattorie tanto da renderla una città autonoma dal punto di vista degli approvvigionamenti. Veio era ben diversa da Roma eppure ricca e sfarzosa.

Gli storici romani raccontano che il suo assedio durò dieci anni, paragonandolo a quello di Troia e forse non esagerarono come erano soliti fare nei loro resoconti dove erano soliti esaltare i propri nemici per dare maggiore risalto alle loro vittorie.

Distrutta dai romani non rimane molto di quella che nel VII secolo avanti Cristo era la seconda città del mondo antico dopo Roma. Gli sparuti scavi riconquistati dalla vegetazione, che i terreni sono privati mai espropriati dallo Stato Italiano, poco avvezzo a trattare con quello che sarebbe il nostro petrolio. I nostri reperti storici. Usata come cava anche di manufatti belli e pronti, dodici delle sue colonne di marmo bianco adornano il porticato di Piazza Colonna a Roma, mentre altre dodici questa volta bigie, fanno bella mostra di se nella cappella di San Benedetto nella Basilica di San Paolo fuori delle Mura.

Saliamo lungo il sentiero ben curato che costeggia la tagliata e siamo immersi nel verde del bosco. Si fatica a riconoscere nel tufo quella che era una delle 8 porte, probabilmente Porta Portonaccio. Le porte, lo sappiamo, avevano i nomi delle strade che portavano alle varie città limitrofe. Oltre a quella di Portonaccio c’era Porta Romana, Porta Fidenae, Porta Capena e Porta  Falerii, ovvero Falerii Veteris. Alleata di Veio e anch’essa distrutta dai romani.  C’era anche Porta Caere la cui strada portava a Cerveteri e la Porta Trionfale. Porta Crustumerium invece portava a una città di cui si sono perse le tracce e che probabilmente sorgeva tra Eretum, l’attuale Monterotondo e Fidenae, affacciandosi sul Tevere.

Passiamo per aree archeologiche chiuse e devastate dalla vegetazione. E’ Villa Campetti in realtà un complesso di edifici pubblici con terme e luoghi di culto parzialmente scavato che ci lasciamo alla nostra sinistra proseguendo la strada sterrata fino ad un grande albero solitario nel paesaggio come fosse l’unico custode di antichi segreti di quest’agro colmo di sorprese che solo grazie all’eroico lavoro di pochi volenterosi professionisti riesce ad riemergere dall’oblio al quale sarebbe destinato.

Ci vuole un grande sforzo di immaginazione. Siamo praticamente al centro dell’antica Veio, anzi ci stiamo camminando sopra da una mezzoretta che ora sono solo dolci declivi, prati e campi arati. Non siamo però lontani dal raggiungere la nostra meta che, se per caso lo avete dimenticato, è la tomba dei Leoni Ruggenti che per antichità ha spodestato quella delle Anatre che è sempre in questa zona a testimoniare che stiamo letteralmente calpestando la Storia d’Italia.

Si tratta di un patrimonio di inestimabile valore ma difficilmente raggiungibile dal grande pubblico e io, io mi sento come un eletto, un prescelto che accede a un luogo…inaccessibile e perdonate il gioco di parole.

Sul ritrovamento di questa tomba vale spendere due parole, è recente. Risale solo al 2006, quindi immaginate quanti tesori ci sono probabilmente nascosti in questi luoghi e di cui non sappiamo nulla e probabilmente non sapremo mai nulla. Si tratta dell’operazione Mozart del Reparto Operativo del Comando dei Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Ambientale (ma un acronimo no?), una indagine sul traffico di reperti archeologici in tutta l’area nord di Roma.

Nell’ambito di questa operazione viene fermato un tombarolo austriaco di 82 anni, il quale trovatosi con le spalle al muro cerca di patteggiare offrendo in cambio di uno sconto della pena una tomba affrescata nella zona di Veio che lui aveva scoperto. L’uomo porta i militari sul posto che provvedono a far aprire la tomba ma questa risulta come tutte le altre ritrovate nella zona. E’ priva di qualsiasi decorazione. I militari pensano di essere stai presi in giro dall’anziano tombarolo che invece non crede ai propri occhi. Era sicuro che la tomba fosse decorata, cosa che  in questa zona è un’assoluta rarità.

In realtà ha sbagliato a contare i passi. Ci riprova. Li riconta. Si scava un buco e così gli uomini comandati dal Capitano Massimiliano Quagliarella si calano e si trovano davanti alla Tomba dei Leoni Ruggenti.

Non si tratta di affreschi, come si potrebbe pensare in un primo momento. Sia le pareti che il soffitto sono state rese piane e lisce per la preparazione pittorica. Sul soffitto è stata stesa una mano di rosso ocra che ha schizzato le pareti.  Poco male perché poi sono state rivestite con un leggero strato di farina fossile sul quale sono state dipinte le figure. Non c’è nulla di simile in tutta l’area del Mediterraneo, è un ritrovamento di eccezionale importanza e non è accessibile al grande pubblico. Siamo dei privilegiati nel poterlo vedere, su questo non ci piove e speriamo non accada che il tempo si sta rovinando..

Sono sulla parete frontale i leoni che danno il nome a questa tomba. In tutto sono quattro. Tre posti in in un verso, la bocca spalancata, la coda arricciata e la lingua di fuori  mentre  l’ultimo invece gli si contrappone, sempre nella stessa postura degli altri ma con la coda alzata. Forse è il defunto, non lo possiamo sapere.

Una cosa è però certa che subito alla mente ritorna il verso dantesco “e bocche aperse, e mostrocci le sanne. Non aveva membro che tenesse fermo”. Certo, le forme sono stilizzate e le linee di contorno nere quasi infantili seppure definite con una incisione preparatoria ma siamo nel VII secolo aC.

E’ abbastanza evidente la simbologia. Gli uccelli acquatici o comunque migratori della linea superiore e ripetuti sulla parete di destra rappresentano inequivocabilmente il passaggio dalla vita alla morte mentre i leoni ruggenti rappresentano fin troppo ovviamente il timore dell’Aldilà o se preferite degli inferi.

Non abbiamo modo di illuminare completamente l’ambiente che comunque non può contenere più di cinque o sei persone e la cosa è estremamente suggestiva. Le figure sembrano veramente emergere dall’oltretomba e sorge abbastanza spontanea la domanda che molti si fanno e che ancora non ha avuto una risposta esaustiva. Come facessero ad avere luce sufficiente per dipingere senza sporcare di nero fumo i dipinti. Qui l’ambiente è oltretutto piccolo e basso.

Nel corredo sono stati ritrovati un’olla con dei disegni che riportano il motivo degli uccelli e due anforette a spirale che confermano l’antichità della tomba, A ulteriore riprova della datazione non c’è traccia di bucchero che a Veio comparirà solo nel 670 a C.

Nel tumulo era anche uno spadone e i cerchi in ferro del carro funebre con il quale è stato sepolto il defunto, probabilmente un principe. Siamo infatti in un periodo di transizione. Le tombe a fosso o a pozzo vengono sostituite da tombe a camera come questa, ricche e decorate o come quelle rinvenute accanto estremamente povere ma probabilmente appartenute allo stesso “clan”.

Siamo molto indietro nel tempo e stiamo parlando di una civiltà che si trova all’inizio di un periodo di dissoluzione delle primitive unità tribali. E’ infatti in questo periodo storico che il nucleo familiare comincia ad essere visto come asse portante della società e inizia a nascere la classe dirigente etrusca, quella dei “principes”. Stiamo vedendo con i nostri occhi questo momento di passaggio come fossimo in una straordinaria macchina del tempo che poi porterà alle tombe di Tarquinia e Cerveteri.

Nel tumulo sono stati però rinvenuti anche dei grani in pasta vitrea e delle spille che provano come anche la moglie fosse stata tumulata accanto al principe e forse l’ampliamento che si vede chiaramente fatto dove si interrompe bruscamente la decorazione si è reso necessario proprio per accogliere le sue spoglie. La camera infatti dagli originari 9 metri quadrati è stata portata a circa 15.

Se la cosa può stuzzicare la vostra curiosità che in definitiva ci sentiamo come gli investigatori sul luogo del delitto, l’ignoto artista che ha dipinto la tomba era sicuramente un ceramografo. Non si tratta di una sorta di perversione antica ma sono di un decoratore di vasi. Ha infatti commesso una serie di errori. Un conto è decorare un vaso un altro decorare una parete.

Dobbiamo però scusarlo. Siamo solo agli inzi di questa nuova tecnica e si va avanti a tentativi, Potendo osservare con una certa attenzione gli uccelli acquatici è possibile notare che in alcuni le incisioni preparatorie non coincidono con il disegno poi colorato.

Un discorso a parte meritano invece i leoni. Nessuno ci pensa entrando qui dentro, ma il povero artista al quale è toccata l’incombenza di dipingere la tomba i leoni non li aveva mai visti dal vero ma solo dipinti sui vasellame che veniva dalla Grecia o dal vicino oriente, vasellame che in quei tempi era considerato di gran pregio.

Tanto per darvi l’idea di dove in realtà siamo andati a finire con questa nostra passeggiata, mentre il nostro ceramografo cercava di riprodurre i leoni sulla parete della tomba, Roma non era ancora l’Urbe che avrebbe conquistato il mondo ma solo un insieme di villaggi sotto il controllo dei re latino-sabini. Siccome in ogni cosa, ci deve essere per forza un inizio a me piace pensare che la Tomba dei Leoni Ruggenti sia la prima in assoluto che gli etruschi dipinsero iniziando un processo che ci porterà fino al Caravaggio, passando per Picasso e poter arrivare ai giorni nostri.

In un certo qual senso dobbiamo a un tombarolo questo rinvenimento che ha scambiato qualche anno di galera con un importante pezzo della nostra storia. Sappiamo però che anche in epoca antica la tomba è stata depredata del suo contenuto più prezioso per quei tempi, il bronzo e che il corredo restante si è salvato per il crollo parziale del tetto della camera che si è distaccato dalla roccia.

Anche in epoca moderna è stata però in un certo senso depredata, infatti se volete vedere parte del corredo dovete andare non già a Formello dove sarebbe logico, ma  al Museo Etrusco di Villa Giulia Sala 38, secondo un criterio più che ottocentesco per il quale i reperti non rimangono quasi mai “in loco”.

Esco anche io dall’antro tombale attraverso il basso arco dell’entrata. Riemergo alla luce come risorto da una lunga storia che mi ha riportato indietro nel tempo. Attorno sono le altre tombe con eguale corridoio meno imponente e spoglie.

Non è finita però. Poco lontano da qui tornando sulla strada asfaltata è un altro luogo assai meno antico ma non per questo meno interessante. A due passi da qui sono le Cantine Terra dei Veio, una vulcanica cantina di vini etruschi dall’inconfondibile etichetta sulla bottiglia; i Leoni Ruggenti della tomba dalla quale siamo appena riemersi. Il nome del vino non poteva che essere Cremera come l’antico fiume etrusco.

E siamo di nuovo persi nella storia sebbene sia tutta un’altra storia. Ve lo avevo detto, oggi siamo dei privilegiati in tutti i sensi, tutti e cinque i sensi.

Ma la vera sorpresa per uno come me che in un’altra vita era sicuramente un topo e che per del formaggio potrebbe fare tutte le follie che non ho mai fatto per nessuna donna è L’Alchimista Lactis. Andrea non fa formaggi ma vere e proprie opere d’arte con una sapienza antica acquisita negli alpeggi svizzeri.

Andrea è il creatore della Toma Veietana che definire formaggio mi sembra uno sminuire un qualcosa che è semplicemente arte e la magnifica conclusione di una giornata come questa provatelo con del miele d’acacia e avrete un’esperienza mistica. Oggi solo per noi si appoggia alle cantine ma potete trovarlo non lontano da qui se volete andarlo a trovare, a Sacrofano e, come al solito, subito dopo questo mio perdermi nella Storia troverete tutte le indicazioni.

Non bevo alcolici ma ho la netta sensazione che il Cremera e il Toma Veietano siano un sodalizio perfetto. Magari venite in questi luoghi e fatemelo sapere.

Fonti:

http://free.it.scienza.archeologia.narkive.com/CczNr1iK/ancora-sulla-fossa-dei-leoni-tomba-di-veio-redux

http://ssaistorico.interno.gov.it/download/allegati1/instrumenta02_21_crea_rossi.pdf

http://www.repubblica.it/viaggi/2006/11/24/news/ai_confini_del_tempo-117032946/

http://www.instoria.it/home/veio_tomba_anatre_leoni_ruggenti.htm

 

 

 

Per il  vino Cremera:

http://www.chttp://www.instoria.it/home/veio_tomba_anatre_leoni_ruggenti.htmarlozucchetti.it/terre-del-veio/

Per i formaggi:

https://www.facebook.com/profile.php?id=100014594380237

 

Per Gli Amicidel MAV:Le 

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